Ci eravamo augurati un 2017 ricco di nuove emozionanti avventure. Cosa poteva esserci di meglio da fare il 2 di gennaio se non arrampicarsi a mani nude sulle pareti del Monte Consolino?
Smaltiti i fumi (ma ancora non i chili) delle feste prendiamo appuntamento con i ragazzi di Calabria Rock di Stilo. Incontro in pasticceria, ma solo per un caffè, e dopo pochi minuti di macchina raggiungiamo il parcheggio sulla sterrata che sale al Castello Normanno di Stilo. Giusto due tornanti.
Prendiamo l’attrezzatura dalle macchine e ci avviamo sul sentiero in mezzo al cipresseto. Costeggiando la nuda roccia superiamo i resti delle mura dell’ex convento dei Cappuccini, ed in una decina di minuti raggiungiamo il settore “Città del sole”.
II primo nome che spicca sulla roccia è “Laura non c’è”. In effetti non c’è, siamo io Daniele, Marco ed Enea. Maria Laura ci raggiungerà a breve, ma non si arrampicherà (dice).
Ci sistemiamo alla base della via “cozza pelosa”. Sale Marco di prima, e sistema i rinvii. Il prossimo sarà Daniele. Imbragatura, scarpe, legatura, qualche raccomandazione e si parte. Dopo qualche esitazione, prende confidenza con la roccia, con la fune e i rinvii, in pochi minuti raggiunge la sommità della via a circa 18 metri di altezza e suona la metaforica campanella. Quindi scende.
È la mia volta. La mia prima volta. Il tempo di equipaggiarmi e comincio a salire. Non è molto difficile ma non è una passeggiata. Qualche passaggio è più complicato, ma con i suggerimenti ed incoraggiamenti dal basso, si supera. Faccio din din con la bocca, mi godo il panorama dall’alto per qualche secondo. Intanto arriva Maria Laura che porta il caffè, e i secondi passati in alto diventano minuti. Poi alla fine mi lasciano scendere. Il caffè è ancora caldo.
Maria Laura continua a dire che non sale anche mentre indossa l’imbragatura. In pochi minuti anche lei è in cima. Scende ma deve andare via. Ci salutiamo.
Il tempo di cambiare le scarpe e saliamo di nuovo: “mela marcia”. Con l’esperienza accumulata durante la prima salita questa volta è più facile. Poi tocca alla “pecora nera”, nome minaccioso ma stesso livello di difficoltà.
Intanto Adele ci sta raggiungendo. Mentre Enea attrezza la “patata silana” le vado incontro. Quando arriviamo sta salendo Daniele. La via è di un livello più difficile, e si vede subito, e anche la stanchezza comincia a sentirsi. Intanto si prepara Adele.
Quando è il suo turno comincia a salire. Dopo pochi metri si ferma. Vorrebbe scendere. La incitiamo dal basso. Prende un po’ di confidenza. Percorre qualche altro metro, poi non ce la fa più.
Occorre smontare i rinvii. Deve salire un altro. Mi offro(no) volontario. Sono stanco. Per me sarebbe già bastato. Comunque salgo. Mi prendo tutto il mio tempo. In alcuni punti non vedo soluzioni, ma me le suggeriscono dal basso. Rinuncerei volentieri, ma qualcuno deve smontare i rinvii. Con difficoltà raggiungo l’ultimo e lo smonto. Vorrei tornare indietro, ma da sotto non me lo permettono. Manca solo qualche metro alla cima, e non è nemmeno difficile. Prendo fiato. Suono la campanella. Poi mi butto a scendere. La via è libera, ci vogliono solo pochi secondi. È una figata, direbbero i ragazzini oggi. Mi sono sentito un ragazzino e l’ho detto anch’io.